lunedì 24 novembre 2014

Palermo, una magia


Londinese per nascita, italiana per vocazione, siciliana un po’ per caso, un po’ per scelta. Incontriamo Victoria Menashy e ci facciamo raccontare la sua esperienza palermitana.


Come mai hai scelto di vivere a Palermo e perché ti sei trasferita qui?
«Ho conosciuto l’Italia a diciassette anni, prima di iniziare il mio corso di laurea in mediazione linguistica e musica a Manchester. Desideravo fare un’esperienza nel vostro Paese, quindi mi sono iscritta al conservatorio di Firenze, studiando canto lirico, una delle mie passioni. La scuola lirica italiana, quella del “Bel Canto”, è la migliore, importante e conosciuta in tutto il mondo. Sono stata un anno lì ma è stato difficile perché mi trovavo da sola e senza danari. Sono dovuta tornare a casa perché iniziare l’università era più facile avendo avuto accesso ad una borsa di studio.
Al terzo anno d’università mi trovai a dover scegliere la destinazione per il mio anno di Erasmus, scelsi Palermo, avendo già vissuto al nord mi incuriosiva conoscere la vita del sud Italia. Qui ho conosciuto il mio maestro di canto e sono riuscita a conciliare le mie due passioni: l’insegnamento e il canto lirico, dando anche quattordici materie. Questo mi ha spinto a rimanere qui.
Ho deciso in quel momento che non avrei finito l’università a Manchester,  mi sarei trasferita qui per i miei studi. Ho scelto di terminarli alla Sapienza di Roma».

Quali le tue aspettative quando sei venuta a vivere qui?

«L’Italia mi è piaciuta tanto. La lingua, la cultura, la gente…  Mi sarei aspettata probabilmente un’esperienza simile a quella che avevo fatto a Firenze ma ho trovato una situazione completamente differente. A Firenze ero più giovane, avevo più amici stranieri, parlavo in inglese la maggior parte del tempo; a Palermo, al contrario, la maggior parte degli amici sono siciliani, parlo in italiano e vi è un’altra mentalità».

Cosa ti ha colpito di Palermo e dei palermitani?

«Palermo è una bella città anche se un po contraddittoria: ci sono molte cose che non vanno e che balzano agli occhi e mi fanno sospirare. Ha tanto da offrire e non lo sa. Mi fa male vedere, per esempio, tutte quelle zone vicino al Foro Italico, la spiaggia, e tantissimi altri posti che si potrebbero sfruttare maggiormente a livello turistico. La città è inoltre molto sporca, ed è un peccato vedere quanti turisti ci sono, i loro sguardi rassegnati e quanti di più potrebbero essercene. Al tempo stesso non esistono persone come voi, calorose, aperte, affettuose. Io che sto qui da quattro anni vivendo completamente sola, sono riuscita a legare con un sacco di persone così vicine che ho sperimentato come una famiglia, persone che vogliono aiutarti e che sono solidali».

Quali gli aspetti culturali più bizzarri che hai notato?

«Uno degli atteggiamenti che fatico ad accettare è l’incapacità a fare la fila rimanendo al proprio posto e gestendo la frustrazione. In Inghilterra c’è molto rispetto per lo spazio personale, qui invece lo spazio non esiste; oppure quando guidate per strada riuscite ad essere davvero pericolosi, io ne ho un po’ paura, nonostante abbia la patente non intendo usarla qui. Un’altra bizzarria riguarda le abitudini alimentari… Considera che noi ceniamo alle 18.00, non riuscirei mai a cenare alle 22.00. In Inghilterra è molto forte l’abitudine di uscire a bere… Qui accompagnate sempre con qualcosa da mangiare. Inoltre mangiate un primo di pasta, che già da solo sarebbe pesante, poi carne e dolce, e questo per ogni festa! E’ un concetto stranissimo per noi, se consideri che prima di venire qui avevo mangiato pasta solo tre volte nella mia vita!
Altro fenomeno che mi sembrava, almeno inizialmente, bizzarro erano i ‘mammoni’. Questi ragazzi che stavano a casa fino a quarant’anni… All’inizio non capivo bene come preferissero rimanere coi genitori anziché farsi una loro vita, ma era soltanto perché non conoscevo la situazione economica qui, le condizioni lavorative che vivevano. Dopo quattro anni ho capito bene le motivazioni che spesso fanno preferire ciò. Penso piuttosto che per certi versi sia importante avere una famiglia dietro che ti possa supportare fino a quando ne hai bisogno.
Un aspetto culturale interessante del rapporto coi sessi è che gli uomini sono un po’ diversi qui, più protettivi, gentili; lo si nota quando accompagnano le ragazze a casa, quando non le lasciano sole per strada, in Inghilterra è completamente diverso».

Cosa consiglieresti all’Amministrazione in termini di maggiore vivibilità e accoglienza anche nei confronti dello straniero?

«Ci sono tanti, forse troppi problemi per gli stranieri che vogliono vivere e  lavorare qui, ma anche per il disbrigo delle pratiche più semplici: trafile burocratiche infinite per la residenza, il codice fiscale, per avere un medico, per aprire un conto».

Quale ti sembra sia la ‘visione’ dei siciliani?

«Siete molto lenti, sospirate, non c’è mai fretta nelle vostre azioni, siete legati fortemente alla famiglia».
Quale aspetto ti incuriosisce e piace di più dei palermitani?

«Questa tendenza a prendersi cura e mantenere i legami forti come l’amicizia. Io provengo da una città enorme dove i legami sono più radi e le comunicazioni a causa delle distanze avvengono via web. Qui avete delle comitive, vi conoscete sin dall’infanzia e questo tipo di relazioni ti regala un calore bellissimo».


Il piatto che ti piace di più?

«Risotto alla marinara, broccoletti in pastella, insalata di mare, sarde a beccafico».

Quando torni a casa cosa racconti di Palermo?

«E’ molto difficile spiegare cosa significhi viverci ad una persona che sta fuori. Palermo ha una specie di magia, tutti gli stranieri che vivono qui da un lato vorrebbero andar via, per questioni lavorative e organizzative, dall’altro, nessuno riesce a farlo facilmente… E’ strano ma l’ho notato in tutti. Io stessa vivo una situazione strana, quando torno a Londra è necessario che passi qualche giorno per riabituarmi ai suoi ritmi, profumi, concezioni; è come se Londra non mi appartenesse più».

Consiglieresti ai tuoi connazionali di vivere qui?

«Dipende molto dalla persona che sei. Devi essere particolare, forte e aperta, disposta a cambiare, a cercare  di far parte di questa cultura nuova: non è per tutti».

Se avessi la possibilità di tornare indietro faresti la stessa scelta?

«Odio avere rimpianti, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per un motivo, seguendo l’intuito, non mi piace guardare indietro. Il mio percorso è stato un po’ strano e sicuramente poco convenzionale… La normalità non è la mia strada. Quando hai un obiettivo nella vita continui sempre a combattere, fare sacrifici, a lavorare e studiare per raggiungerlo. Io voglio cantare, è il più grande amore della mia vita».

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