sabato 17 gennaio 2015

Pensioni, si cambia: via ai limiti d’età con 41 anni di contributi

Così il governo prova a superare la legge Fornero

Per le donne verrà prorogata la possibilità di andare in pensione prima del tempo con un binario preferenziale, avendo almeno 57 anni di età e 35 anni di contributi, anche se con una penalizzazione stimata del 20% per il metodo di calcolo totalmente contributivo. 

 

Non è ancora calata la polvere delle polemiche sul Jobs Act, che si sta aprendo un altro fronte economico e politico: quello di rifare un accurato tagliando alla recente riforma delle pensioni. Dopo le modifiche attuate dalla riforma del governo Monti-Fornero del 2012, il cantiere della previdenza resta aperto. I tecnici del ministero del Lavoro, dell’Inps, del Tesoro stanno lavorando a un nuovo piano per attutire le rigidità di quella riforma, che secondo molti ha inferto una ferita nel corpo sociale e non determinerà i risparmi previsti. L’ipotesi è quella di rimediare all’errore tecnico, prima ancora che politico, contenuto nel cuore della riforma: la doppia indicizzazione, che lega il progressivo crescere della speranza di vita sia ai requisiti di età per la vecchiaia (fino a 66-67 anni e oltre) sia all’anzianità per la pensione anticipata (arrivata a oltre 42 anni di contribuzione per gli uomini).  

Le due indicizzazioni hanno prodotto l’effetto di tenere in stand-by milioni di lavoratori, costringendoli a rimanere in azienda fino a sei-sette anni in più o a uscirne con una forte penalizzazione (fino al 5% per chi va in pensione a 59-60 anni pur avendo maturato i contributi). La doppia indicizzazione e la penalizzazione bloccano il sistema, senza che sia stata fatta una coerente riforma del lavoro sui nuovi ingressi, ciò che rischia di creare future generazioni di senza pensione. Il merito della riforma Fornero è stato l’introduzione del metodo di calcolo contributivo pieno, più equo rispetto al retributivo, con conseguenze pericolose per carriere intermittenti e discontinue (giovani e donne).  

L’idea è ora quella di una parziale ma significativa marcia indietro: plafonare entro un certo arco di tempo l’anzianità contributiva a 41 anni, svincolandola dai limiti di età. Tra l’altro la misura avrebbe anche l’effetto di sanare la questione esodati, senza costringerli a restare senza lavoro e senza pensione per troppo tempo: secondo le ultime stime agli ufficiali 185mila salvaguardati dovranno essere aggiunti altri 130mila esodati, attualmente senza tutele, per un totale di 315mila.  

Ovviamente, ed è il punto critico, il tagliando alla riforma chiama in causa la capacità di avere le relative coperture finanziarie. Si sa che la coperta è corta, ma l’esigenza di sbloccare i due canali di uscita, che reciprocamente creano una paralisi, connettendola agli effetti stimabili di una incisiva riforma del lavoro, rimane ineludibile.  

Per questo dovrebbe entrare in campo anche il prestito pensionistico, un’idea del governo Letta: dare a chi esce in anticipo un assegno di 700 euro al mese, da restituire a rate al momento del raggiungimento dei requisiti di pensione, misura che potrebbe servire anche per esodati e precoci. L’altra novità che bolle nel pentolone della previdenza è quella della cosiddetta busta arancione. Consiste nel ricevere via posta o di consultare online l’estratto conto dei propri contributi (il tesoretto personale maturato nel tempo), insieme alla simulazione dell’ammontare della futura pensione: uno strumento indispensabile con l’avvento del sistema contributivo, per ripristinare e dare a tutti responsabilmente la possibilità di scegliere il momento di andare in pensione, secondo parametri soggettivi, anziché subire lunghe e indesiderate permanenze al lavoro o forti penalizzazioni.  

Le ultime stime ci dicono infatti che il cambio di modello di calcolo arriva a decurtare l’assegno di pensione del 25-30% rispetto al reddito percepito. Restano sul tappeto anche molti altri nodi strutturali del sistema previdenziale. A partire dagli effetti della rivalutazione dei montanti contributivi delle pensioni in occasione dei cali quinquennali negativi del Pil: da questo punto di vista il rischio sembra sventato, portando a zero l’incremento negativo dello 0,1927% di decrescita del Pil e per il 2015 a una stima positiva dello 0,50%, effetto di uno 0,40 di Pil e di uno 0,10 di inflazione. L’altro tema è la previdenza integrativa.  

Quest’anno la contraddizione tra sviluppo della previdenza integrativa e incremento della tassazione su Casse private, Fondi complementari e Tfr in busta paga dovrebbe essere in parte sanata: le Casse pagherebbero il 20%, i Fondi dall’11 dovrebbero passare al 15% e non al 20%, mentre resterebbe la tassazione ordinaria e sfavorevole del Tfr in busta paga. Dopo l’approvazione della legge di Stabilità, a gennaio queste misure verranno introdotte nell’ormai canonico Milleproroghe.  

Per le donne verrà prorogata la possibilità di andare in pensione prima del tempo con un binario preferenziale, avendo almeno 57 anni di età e 35 anni di contributi, anche se con una penalizzazione stimata del 20% per il metodo di calcolo totalmente contributivo. 
WALTER PASSERINI
Fonte : http://www.lastampa.it/
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